Lanci della Risoluzione approvata all’unanimità dalla direzione di Radicali Italiani

sono completamente daccordo
jk

25 giugno 2007

• Lanci della Risoluzione approvata all’unanimità dalla direzione di Radicali Italiani

I costi finanziari ma soprattutto sociali dell’abolizione dello scalone

Il Governo Prodi commetterebbe “un grave errore” se decidesse di abolire lo scalone pensionistico. Una tale decisione “comprometterebbe irrimediabilmente la stabilità delle finanze pubbliche, il futuro delle fasce più deboli della popolazione - in particolare dei giovani e dei pensionati al minimo - e la costruzione di un sistema di ammortizzatori sociali di tipo universalistico, che persegua la liberazione dal bisogno integrando la necessaria flessibilità con politiche ispirate al modello del welfare to work”: Lo afferma un documento della direzione dei Radicali Italiani, primo firmatario Michele De Lucia, approvato all’unanimità. Secondo il documento il potere di veto ideologico della corporazione sindacale e della sinistra comunista e massimalista “fa leva sulla assoluta disinformazione che impedisce ai cittadini italiani di conoscere la reale situazione e l’importanza della posta in gioco”.

Il potere di ricatto sindacale e massimalista si fonda sulla disinformazione

La situazione reale è riassumibile in poche essenziali verità: 1) La spesa pensionistica del nostro Paese assorbe circa il 15% del prodotto interno lordo, e i due terzi della spesa sociale sono assorbiti dalle pensioni. 2) L’Italia, anche se non venisse toccato lo scalone, avrebbe l’età pensionabile più bassa tra i Paesi dell’Unione europea, 60 anni, e sarebbe l’unico paese a non avere almeno programmato la parificazione tra uomini e donne. 3) Tutte le riforme sulla previdenza, da Amato, a Dini, a Maroni, sono andate nella direzione giusta, ma hanno tutte previsto condizioni di particolare favore per chi era più vicino alla pensione, e scaricato sistematicamente il loro peso sulle spalle delle generazioni più giovani.

Basta con la politica del rinvio, basta scaricare i costi della mancata riforma sulle generazioni più giovani

“Coloro che oggi accusano lo scalone di iniquità – afferma il documento - sono quei sindacati e quei partiti comunisti che, nella precedente legislatura, rifiutarono la sua entrata in vigore, allora possibile con maggiore gradualità, sin dal 2006, e ne imposero il rinvio al 2008. Per il bene delle future generazioni, non è più possibile proseguire nella politica dei rinvii, in una sorta di scaricabarile intergenerazionale, ma è necessario procedere sulla strada delle riforme”. Quello “scalone” che per Epifani, Angeletti, Bonanni, Ferrero, Damiano, Giordano, è divenuto il “nemico pubblico numero uno”, è stato, nei fatti accettato dagli uomini e dalle donne del nostro Paese. Nel 2006 le nuove pensioni effettivamente liquidate sono state inferiori di circa settemila unità rispetto a quanto preventivato dallo stesso ente previdenziale. Non vi è stata dunque nessuna “corsa alla pensione”.

La controproposta radicale: mantenimento dello scalone, aumento graduale fino al minimo di età a 65 anni, riforma del welfare di tipo

universalistico a vantaggio di tutti i lavoratori, a cominciare dai più deboli.

Se verrà abolito lo scalone, ossia se si rinuncerà ai miliardi di euro, da 9 a 65, che lo scalone consentirebbe di risparmiare nei prossimi anni, l’unica strada per reperire le risorse necessarie al welfare sarà quella, dissennata, insostenibile, di un ulteriore aumento della pressione fiscale. I radicali contrappongono la loro proposta presentata in un ddl il 3 aprile scorso: mantenimento dello scalone con un ulteriore e graduale innalzamento dell’età pensionabile, al ritmo di “un anno ogni due”, fino a 65 anni per tutti, uomini e donne, entro il 2018; in tal modo si risparmierebbero, a regime, fino a 7 miliardi di euro ogni anno, da utilizzare per la contestuale riforma del welfare di tipo universalistico a vantaggio dei lavoratori più deboli. L’ipotesi di riforma della Cassa integrazione allo studio del ministro Damiano rischia invece di perpetuare e di aggravare quel sistema, da sempre denunciato in totale solitudine dal movimento radicale, di privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite che ha succhiato oltre 250mila miliardi di vecchie lire dalle casse dello Stato, senza che un solo posto di lavoro venisse salvato.

La scelta è fra riforma e controriforma: qui si gioca il successo o il fallimento del centro sinistra e lo sviluppo o il declino dell’economia italiana

“L’alternativa –conclude il documento- ancora una volta è tra riforma e controriforma. Quanto sta accadendo sulle pensioni altro non è che la riproposizione della cronica incapacità dei governi di costringere le domande sociali all’interno delle risorse disponibili, incapacità che è stata il fattore decisivo nel determinare la formazione dell’enorme debito pubblico italiano, ossia della vera ipoteca che grava drammaticamente sulle generazioni presenti e future. Solo se il governo – e tutti gli attori politici e sociali che ritengono doveroso impedire l’ulteriore declino dell’economia italiana - vorrà e saprà informare i cittadini della reale situazione, i veti irresponsabili dei sindacati e della sinistra comunista e massimalista potranno essere battuti con una politica liberale e riformatrice. In caso contrario, rischiamo tutti di andare a sbattere, il centrosinistra di essere escluso dal governo per molti anni, e il Paese di essere riconsegnato a un centrodestra illiberale, corporativo e conservatore, che non a caso sta accuratamente evitando di intervenire nello scontro in atto.

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